L'Anomalia sul Binario Tre
La stazione di Vallemont, di per sé, era un luogo dove il tempo sembrava aver deciso di rallentare, o forse di fermarsi del tutto. Non era un nodo ferroviario di grande importanza, né un epicentro di frenesia urbana; piuttosto, un respiro profondo tra le colline boscose e i campi coltivati. I treni passavano con una regolarità quasi soporifera, e i passeggeri erano perlopiù pendolari abitudinari o anziani in visita a parenti lontani. Leo, il capostazione, aveva trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita a Vallemont, e in quel lasso di tempo aveva visto di tutto: valigie smarrite, ritardi inspiegabili, qualche discussione accesa per un posto a sedere, e persino una gallina fuggita da un vagone merci. Ma nulla, assolutamente nulla, lo aveva preparato per l'evento di quel martedì pomeriggio.
Il sole di metà maggio si riversava pigramente sul binario tre, scaldando le traversine di legno e il cemento della banchina. L'aria era densa del profumo di terra umida e di diesel, una combinazione familiare che Leo associava alla tranquillità. Stava controllando la tabella degli orari, un gesto più per abitudine che per necessità, quando un'ombra scura e compatta si proiettò sul foglio ingiallito. Alzò lo sguardo, aspettandosi di vedere il solito passeggero in ritardo o forse il postino con la sua borsa troppo piena. Invece, si trovò di fronte a un cane.
Non era un cane qualsiasi. Era un pastore tedesco, di una corporatura imponente e un manto lucido color fulvo e nero, con occhi di un marrone così profondo da sembrare quasi neri, e un'espressione di una serietà quasi umana. Non abbaiava, non scodinzolava, non annusava il terreno. Stava semplicemente lì, in piedi sulle quattro zampe, con una compostezza che avrebbe fatto invidia a qualsiasi diplomatico in attesa di un treno. Al collo non aveva un collare, ma una sorta di medaglione di metallo brunito, inciso con simboli che Leo non riconobbe.
Leo, un uomo di poche parole e di ancor meno sorprese, si limitò a fissarlo. "Ehm... ciao," mormorò, più per rompere il silenzio che per reale aspettativa di risposta.
Il cane inclinò leggermente la testa, e Leo pensò di aver visto un lampo di intelligenza, o forse di impazienza, nei suoi occhi. Poi, con una voce che era sorprendentemente profonda e risonante, come il ronzio di un vecchio motore ben oliato, il cane parlò.
"Buon pomeriggio, signore. Mi scusi il disturbo, ma sono qui per chiedere un passaggio."
Leo sbatté le palpebre. Una, due, tre volte. Il suono delle parole era inequivocabile, chiaro, articolato. Non era un'illusione, non era la stanchezza, non era un rumore di fondo mascherato. Era una voce, e proveniva dal cane. Leo si strofinò gli occhi, poi si pizzicò il braccio. Niente. Era sveglio. E il cane era ancora lì, che lo fissava con la stessa, imperturbabile serietà.
"Un... un passaggio?" riuscì a balbettare Leo, sentendo la sua voce rompersi come un ramo secco.
"Esatto," rispose il cane, e Leo notò che le sue labbra, o meglio, il suo muso, si muovevano in sincronia con le parole, sebbene in un modo che sfidava ogni logica anatomica canina. "Un passaggio per il futuro. Quello che nessuno credeva esistesse."
Il silenzio che seguì fu più pesante di qualsiasi treno merci. Leo sentì il sangue defluire dal suo viso, lasciandolo freddo e intorpidito. La sua mente, abituata alla routine rassicurante dei binari e degli orari, si rifiutava categoricamente di elaborare l'informazione. Un cane parlante. Che chiedeva un passaggio per il futuro. Era una barzelletta? Una telecamera nascosta? Un sogno febbrile?
"Guardi, amico," disse Leo, cercando di mantenere un tono calmo, ma la sua voce tremava leggermente. "Non so chi ti abbia insegnato a fare questo, ma... i cani non parlano. E il futuro... be', il futuro è domani, dopodomani. Non è una destinazione su una mappa ferroviaria."
Il cane sospirò, un suono che per un attimo sembrò quasi umano nella sua esasperazione. "Capisco la sua incredulità, signore. È una reazione comune, sebbene prevedibile. Ma le assicuro che non sono il frutto di un trucco o di un'allucinazione. Sono qui, e la mia richiesta è genuina." I suoi occhi scuri si posarono su Leo con un'intensità che lo fece sentire stranamente esposto. "E il futuro a cui mi riferisco non è semplicemente il succedersi dei giorni. È un luogo. Un tempo. Una possibilità che è stata dimenticata, o forse intenzionalmente nascosta."
Leo si appoggiò al muro della stazione, sentendo la ruvidità del cemento contro la schiena. La sua mente cercava disperatamente un appiglio nella realtà, ma ogni tentativo falliva. Il cane non accennava ad andarsene, e la sua presenza era troppo concreta per essere ignorata. Persino il suo odore, un misto di pelo pulito e qualcosa di leggermente metallico, era reale.
"E... e perché proprio qui? A Vallemont?" chiese Leo, la sua voce ora poco più di un sussurro.
"Le coincidenze sono spesso le maschere del destino, signore," rispose il cane, e per la prima volta, Leo percepì una sfumatura di qualcosa che assomigliava a un sorriso nel suo sguardo. "Questo luogo, in questo preciso momento, è un punto di convergenza. Un incrocio di probabilità. E lei, capostazione Leo, è l'uomo giusto al posto giusto."
Leo si sentì un brivido freddo lungo la schiena. Non era abituato a sentirsi "l'uomo giusto al posto giusto" per qualcosa di più complesso che non fosse assicurarsi che il treno per Milano partisse in orario. La conversazione stava prendendo una piega che andava ben oltre la sua comprensione, eppure, una strana curiosità, un prurito di fronte all'ignoto, cominciò a farsi strada attraverso la sua iniziale incredulità.
"E come... come potrei darle un passaggio per un posto che non esiste?" domandò Leo, la sua voce ora più ferma, sebbene ancora intrisa di perplessità. "Non ci sono biglietti per il futuro. Non ci sono orari. Non ci sono binari che ci vadano."
Il cane si mosse, facendo un passo in avanti che ridusse leggermente la distanza tra loro. "Non si tratta di un treno fisico, signore. O almeno, non nel senso convenzionale. Si tratta di una connessione. Di una frequenza. Di una volontà." I suoi occhi sembrarono brillare per un istante. "Ho bisogno di qualcuno che sia disposto a credere nell'impossibile. Qualcuno che sia disposto a vedere oltre ciò che è evidente. E lei, Leo, ha l'aria di essere un uomo che, nonostante la sua apparenza pragmatica, ha ancora un barlume di meraviglia nel cuore."
Leo si sentì arrossire, un po' per l'imbarazzo, un po' per la strana sensazione di essere stato letto come un libro aperto da un pastore tedesco parlante. Meraviglia? Lui? Aveva passato gli ultimi anni a compilare moduli e a sgridare i ragazzini che giocavano troppo vicino ai binari. La meraviglia era qualcosa che aveva lasciato nell'infanzia, insieme ai sogni di diventare un esploratore.
"E se... se non volessi?" chiese Leo, quasi per sfida. "Se la mandassi via? Se chiamassi qualcuno?"
Il cane inclinò di nuovo la testa, e questa volta, l'ombra di un sorriso si fece più evidente. "Potrebbe farlo, certo. La libertà di scelta è un dono prezioso, anche se a volte è un peso. Ma le assicuro che la mia presenza qui non è casuale. E la sua decisione, qualunque essa sia, avrà delle conseguenze. Per lei, e forse per molto altro."
Un fischio lontano annunciò l'arrivo del treno delle 16:30 da Piacenza. Leo sentì un barlume di sollievo. La routine, la normalità, stavano per tornare. I passeggeri sarebbero scesi, altri sarebbero saliti, e forse, in qualche modo, il cane sarebbe svanito come una brutta visione.
Ma quando il treno rallentò e si fermò con un cigolio metallico, il cane non si mosse. Rimase lì, fermo, imponente, con gli occhi fissi su Leo, come se il tempo intorno a loro si fosse piegato per dare spazio solo alla loro strana conversazione. I primi passeggeri iniziarono a scendere, alcuni con lo sguardo perso nei loro telefoni, altri con l'aria stanca di chi ha appena finito una lunga giornata. Nessuno di loro sembrava notare il pastore tedesco che stava parlando con il capostazione. O forse, pensò Leo con un brivido, semplicemente non potevano vederlo.
Il cane parlante, l'anomalia sul binario tre, era lì, e la sua richiesta, per quanto assurda, aveva piantato un seme di incertezza nella mente di Leo. Il futuro, quel concetto astratto e lontano, aveva improvvisamente assunto la forma di un cane con occhi troppo intelligenti e una voce troppo umana. E Leo, il pragmatico capostazione di Vallemont, si trovò sull'orlo di un'avventura che non aveva mai cercato, né mai creduto possibile.