Il Croissant del Destino
Il sole di metà giugno si era dato appuntamento con le finestre dei palazzi, rimbalzando con un’allegria contagiosa sulle vetrine dei negozi e sulle guance arrossate di chi affrontava la mattinata milanese. Per Sofia, ventisette anni e un’inguaribile passione per l’arte che le aveva procurato più debiti che gloria, il sole era un vecchio amico che le suggeriva sempre di guardare il mondo con un pizzico di speranza in più. Quel martedì non faceva eccezione. Era uscita di casa con i capelli legati in una coda di cavallo un po’ disordinata, un vestito estivo a fiori che gridava "felicità" e la borsa tracolla pronta a contenere l'ennesimo taccuino per schizzi. La sua destinazione: la piccola panetteria all'angolo, "Il Forno Felice", dove il profumo di pane appena sfornato e croissant al burro era una melodia quotidiana.
Sofia era un'artista, nel senso più puro e forse meno redditizio del termine. Dipingeva murales per il comune quando c'era un bando, illustrava libri per bambini per una piccola casa editrice e, nel tempo libero (che era tantissimo), riempiva quaderni con volti sconosciuti incontrati per strada, cieli stellati immaginari e paesaggi che esistevano solo nella sua mente. Viveva in un piccolo appartamento in zona Isola, con una vista sui tetti che le offriva scorci di cielo a cui aggrapparsi quando le scadenze sembravano irraggiungibili. Era una ragazza che vedeva la bellezza nelle piccole cose: il sorriso di un passante, il colore di un graffito, la forma di una nuvola che somigliava a un coniglio gigante. E il cibo. Ah, il cibo! La sua vera, grande consolazione.
Quel mattino, il suo obiettivo era un croissant semplice, senza ripieno, per poterlo inzuppare nel cappuccino. Un piccolo lusso quotidiano che le costava un euro e cinquanta, ma che le ricaricava l’anima come una batteria magica. Entrò nel Forno Felice, una campana tintinnò allegramente sopra la porta, e fu subito avvolta da quell'inebriante profumo di lievito e zucchero. La fila era un po' più lunga del solito, ma Sofia non si scompose. Si mise in coda, tirando fuori il suo piccolo taccuino e una matita, pronta a catturare l'espressione assorta di un anziano signore davanti a lei o la mano agitata di una bambina che indicava i biscotti colorati.
Mentre attendeva il suo turno, il suo sguardo si posò su un dettaglio insolito. Sul bancone, accanto alla cassa, c’era una borsa di tela che sembrava stranamente familiare. Non una borsa qualsiasi, ma una di quelle borse da spedizione vintage, un po' usurata, con delle toppe e delle fibbie di cuoio. Era identica a quella che la sua amica Camilla, una collezionista di oggetti strani, cercava disperatamente da mesi. Sofia, sempre con la testa tra le nuvole ma con un occhio attento ai dettagli, si avvicinò un po’ per osservarla meglio. Dentro, intravedeva una pila di libri rilegati in pelle e una macchina fotografica analogica. Strano.
Arrivato il suo turno, Sofia si avvicinò al bancone, ancora assorta nella borsa. "Un croissant semplice e un cappuccino, per favore," disse con un sorriso alla commessa, una ragazza dai capelli ricci e l’aria stanca. Mentre la commessa le preparava l’ordine, Sofia si sporse un po’ di più verso la borsa. "Scusi," disse, rivolta alla commessa, "questa borsa... per caso qualcuno l'ha dimenticata qui?" La commessa scosse la testa. "No, è qui da un po'. Penso sia di quel ragazzo che era qui prima di lei, è andato a prendere un caffè fuori. Lo stavo per chiamare."
Proprio in quel momento, la porta si aprì di nuovo con un altro tintinnio di campana e un giovane uomo entrò, con un bicchiere di carta in mano e l'aria leggermente affannata. Era alto, con i capelli scuri un po' spettinati e un sorriso gentile che gli illuminava il volto quando si accorse della sua borsa sul bancone. "Ah, eccola! Mi scusi, l'avevo dimenticata!" esclamò, avvicinandosi. I suoi occhi si posarono su Sofia, che teneva ancora in mano il suo taccuino, e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra.
"Oh, ecco," disse Sofia, porgendogli la borsa. "Pensavo fosse stata dimenticata. È una bella borsa, sembra vecchia, ma in senso buono."
Il ragazzo la prese, con un’espressione di gratitudine. "Sì, è un regalo di mio nonno. È una vecchia borsa da fotografo, un po' malconcia ma ha un suo fascino, no?" Si chiamava Marco, come Sofia avrebbe scoperto pochi minuti dopo. Era un fotografo freelance, specializzato in reportage di viaggio, e il suo aspetto un po' bohémien si abbinava perfettamente al suo lavoro.
I due si ritrovarono a sorridere, in un silenzio imbarazzato ma piacevole. La commessa intanto aveva preparato il cappuccino e il croissant di Sofia. "Tutto a posto?" chiese, interrompendo l'atmosfera.
"Sì, grazie mille," rispose Sofia, prendendo il suo ordine. Si voltò di nuovo verso Marco. "Beh, meno male che l'hai trovata. Stavo per chiedere se fosse in vendita, mi ricordava qualcosa!"
Marco rise, un suono caldo e genuino. "È un pezzo unico, temo. Ma visto che mi hai salvato la giornata, forse posso offrirti un caffè?"
Sofia rimase un attimo interdetta. Non le succedeva spesso di essere approcciata in quel modo, soprattutto la mattina presto, con l'odore di lievito nell'aria e il suo taccuino mezzo pieno. Ma il suo ottimismo innato le suggerì di accettare. "Un caffè l'ho già ordinato, ma potrei prendere un altro croissant, se sei generoso!" scherzò, sentendosi improvvisamente leggera.
Uscirono insieme dal Forno Felice, il sole che li inondava. Si sedettero a un tavolino all'aperto, parlando di viaggi, di arte, di Milano e di quella borsa che sembrava averli fatti incontrare. Marco le raccontò dei suoi ultimi lavori in Sud America, delle difficoltà e delle gioie di catturare l'essenza di luoghi sconosciuti. Sofia, a sua volta, gli parlò dei suoi murales, delle sfide di dipingere opere che fossero accessibili a tutti e della sua frustrazione per il mercato dell'arte, a volte così elitario. Non era un appuntamento, non ancora. Era un incontro casuale, un'interruzione piacevole nella routine di una mattina qualsiasi. Ma mentre il cappuccino di Sofia si raffreddava e Marco le offriva un altro croissant (stavolta al cioccolato), entrambi sentirono un piccolo, inaspettato bagliore di qualcosa di nuovo e luminoso. Il croissant del destino, forse. E il sole continuava a ballare sulle loro teste, come se sapesse già che quella era solo l'inizio di qualcosa di speciale.