ranked fast

Fantasy

Romance

Adventure

it flag

28/05/2025

Il Respiro del Vento

star icon 3.0/5
Avatar
pensator3_00

Il Respiro del Vento nel Crepuscolo

Elara conosceva la foresta come il palmo della sua mano, eppure ogni sera, al calar del sole, un brivido sottile le percorreva la schiena. Non era la paura delle creature notturne, né il timore dei banditi che a volte osavano avventurarsi fin lì dalle strade del reame. Era qualcosa di più antico, più profondo: il respiro della magia che ancora permeava gli alberi secolari, un sussurro quasi impercettibile che solo chi era nato e cresciuto tra quelle fronde poteva udire. I suoi capelli, del colore delle foglie autunnali bagnate di rugiada, si intrecciavano con i rami bassi mentre si muoveva con la grazia silenziosa di un cervo, i piedi nudi sul muschio umido. Il suo abito, un semplice lino color terra, era quasi indistinguibile dal sottobosco, rendendola un fantasma tra le ombre che si allungavano. Ogni passo era una preghiera sussurrata alla terra, una melodia silenziosa che accompagnava il battito del suo cuore selvaggio. Era nata in una piccola capanna ai margini di quella stessa foresta, una vita semplice e in armonia con la natura. I suoi genitori, due umili raccoglitori ed erboristi, le avevano insegnato a riconoscere ogni pianta, a comprendere il linguaggio del vento tra le foglie, a leggere le tracce lasciate dagli animali. Ma le avevano anche insegnato la cautela, il rispetto per i confini invisibili che separavano il loro mondo da quello più grande, pieno di pericoli e meraviglie di cui avevano solo sentito parlare nei racconti. Il villaggio di Oakhaven, a mezza giornata di cammino, era il loro unico legame con la civiltà, un luogo dove scambiare le loro erbe e la piccola selvaggina per il sale, il grano e qualche pezza di stoffa. Elara aveva diciotto anni, e la sua vita era stata finora una successione prevedibile di albe e tramonti, di stagioni che si susseguivano, di compiti quotidiani che la legavano indissolubilmente a quella terra. A volte, osservando le nuvole che passavano veloci sopra le cime degli alberi, si domandava cosa ci fosse oltre quelle montagne lontane che si scorgevano all’orizzonte nei giorni più limpidi. Sognava avventure, certo, ma erano sogni innocenti, come le fiabe raccontate dalla nonna accanto al focolare. Il compito di Elara in quel crepuscolo era semplice e ripetitivo: controllare le trappole per la piccola selvaggina. Aveva posizionato una decina di lacci in punti strategici, noti solo a lei e a suo padre, luoghi dove i sentieri degli animali si incrociavano con maggiore frequenza. Ogni trappola era un piccolo rito, un’offerta alla foresta in cambio di sostentamento. Ma stasera, c’era qualcosa di diverso. L’aria era più densa, carica di un’elettricità che non preannunciava un temporale, ma un evento. I corvi non cantavano più, e il gufo che ogni sera le dava il benvenuto con il suo richiamo malinconico, restava silente. Persino i grilli avevano cessato il loro cicaleccio. Un’inquietudine sottile, ma persistente, le si annidava nel petto. Era il genere di silenzio che precedeva un cambiamento, una rottura nell’equilibrio della foresta. Raggiunse la sua ultima trappola, quella più nascosta, sotto un fitto cespuglio di rovi e roccia sporgente. Era un luogo quasi inaccessibile, ma proprio per questo ideale. Il suo cuore ebbe un sussulto così violento da farle mancare il fiato. Non c’era un coniglio o una lepre, ma una figura umana, intrappolata non nella rete di corda, ma nel groviglio di rami e rovi che avvolgevano la piccola conca naturale. Era un uomo, o almeno così sembrava, anche se il suo aspetto era tutt’altro che quello di un contadino o di un mercante. Era alto, vestito di cuoio scuro lavorato con cura, le cuciture invisibili, e un mantello strappato che un tempo doveva essere di un ricco broccato di colore blu notte. Aveva i capelli scuri come la notte senza stelle, lunghi e scompigliati, e il viso, sebbene sporco di terra e una ferita sanguinante gli solcasse la fronte, era di una bellezza quasi eterea. I suoi lineamenti erano marcati, nobili, con uno zigomo alto e un naso aquilino. I suoi occhi, socchiusi in un misto di dolore e stanchezza, erano del colore del cielo invernale, di un azzurro così profondo da sembrare quasi viola al crepuscolo, un colore che Elara non aveva mai visto se non nei dipinti che aveva intravisto una volta al mercato di Oakhaven, raffiguranti re e regine di antiche leggende. Elara non aveva mai visto nessuno così, non nel suo villaggio, almeno. I suoi vestiti parlavano di terre lontane, forse anche di nobiltà o di un ordine guerriero. Il silenzio teso della foresta sembrava amplificare il suono del suo respiro affannoso, quasi un rantolo. Si avvicinò con cautela, il bastone di nocciolo che usava per controllare le trappole stretto nella mano. Era un bastone robusto, ma non un’arma. “Ehi,” mormorò, la sua voce appena un sussurro, incerta. L’uomo gemette, muovendo leggermente il capo, i suoi occhi si aprirono appena, fissandola con una nebbia di dolore. “Sei ferito?” chiese Elara, inginocchiandosi sulla terra umida. Le sue mani, abituate a curare piccole ferite con erbe e impacchi, prurivano per la necessità di aiutarlo. Notò una spada al suo fianco, una lama sottile ed elegante, con un’elsa incastonata di pietre che luccicavano fiocamente nella luce morente, riflettendo minuscole scintille di luce. Non era l’arma grezza e pesante di un brigante, né la sciabola consumata di una guardia di paese. Era l’arma di un guerriero addestrato, forse di un cavaliere, un’arma che parlava di battaglie e onore. Ma cosa ci faceva un cavaliere ferito in un luogo così remoto e dimenticato, così lontano dalle strade battute e dai castelli del reame? L’uomo aprì completamente gli occhi, e il loro sguardo intenso la catturò, la prese al laccio come se fosse lei ad essere caduta in una trappola invisibile. Erano pieni di una disperazione che Elara non aveva mai visto, eppure c’era anche una scintilla di determinazione, un fuoco debole ma ancora vivo. “Aiuto,” sussurrò, la voce roca e quasi inudibile, come se ogni parola gli costasse uno sforzo immane. “Sono… sono caduto.” La sua mano, affusolata e con le dita lunghe, tentò di raggiungere la sua, ma ricadde inerte sul terreno, tremante. Elara esitò per un momento. Suo padre le aveva sempre insegnato a diffidare degli estranei, soprattutto di quelli che apparivano dal nulla, feriti e con un’aria così… importante. I racconti popolari erano pieni di trappole, di inganni e di figure che si approfittavano della bontà altrui. Ma c’era qualcosa in quegli occhi azzurri, una vulnerabilità inaspettata, una richiesta silenziosa che le impediva di lasciarlo lì a morire nel freddo crescente della sera. La compassione, un sentimento forte e impulsivo, le strinse il cuore. Senza pensarci troppo a lungo, senza lasciare che la prudenza prevalesse sull’istinto, Elara iniziò a liberare i rami spinosi che lo tenevano prigioniero. Le sue mani, abituate al lavoro della terra e alla delicatezza richiesta per la raccolta delle erbe medicinali, furono rapide e precise, muovendosi con un’abilità innata. Ogni volta che una spina graffiava la pelle dell’uomo, lui si lamentava, ma Elara continuava, concentrata sul suo compito. I suoi capelli, leggermente umidi di rugiada, le cadevano sul viso mentre si chinava, e il profumo di terra e bosco si mescolava all’odore di sangue e cuoio dell’uomo. Finalmente, dopo diversi minuti di lavoro minuzioso, riuscì a liberarlo dal groviglio di rami che lo stringevano. L’uomo crollò di lato con un gemito soffocato, la ferita sulla fronte pulsava e il suo respiro era ancora affannoso, un sibilo roco che le fece stringere le labbra in una smorfia di preoccupazione. “Devi venire con me,” disse Elara, la voce ferma e più decisa di quanto si aspettasse. “Non puoi restare qui. La notte è pericolosa. I lupi si aggirano e il freddo ti ucciderà.” Lo aiutò a sedersi con una delicatezza sorprendente per una ragazza così piccola e apparentemente fragile, e lui si appoggiò pesantemente su di lei, un gemito di dolore sfuggendogli dalle labbra mentre si muoveva. Sentì il calore del suo corpo contro il proprio, un calore strano e inaspettato che le fece battere più forte il cuore nel petto. C’era un profumo su di lui, un mix di muschio e pioggia fresca, ma anche qualcosa di più esotico, come spezie rare e il sentore metallico di una forgia lontana, un odore che parlava di città e di mondi che lei non aveva mai visto. Con fatica, lo sollevò e lo fece appoggiare al suo fianco, la sua spalla sotto il braccio forte dell’uomo. Era pesante, molto più di quanto si aspettasse per la sua corporatura slanciata, ma la sua determinazione non vacillò. Doveva portarlo in salvo, non poteva lasciarlo. Non sapeva chi fosse, da dove venisse, o perché si trovasse lì in un luogo così remoto e dimenticato dal resto del mondo, ma la sua istintiva compassione aveva preso il sopravvento, spingendola a un atto di altruismo che avrebbe potuto metterla in pericolo. Si avviò lentamente, ogni passo una sfida, il peso dell’uomo contro di lei, i suoi muscoli che bruciavano per lo sforzo, ma la sua mente era stranamente lucida. Mentre si allontanavano lentamente dal cespuglio di rovi, il crepuscolo avvolgeva la foresta in un manto di mistero, le ombre si allungavano, trasformando gli alberi in figure minacciose. I primi stelle cominciavano a brillare attraverso le fronde degli alberi, piccoli occhi scintillanti che sembravano osservare la loro insolita processione, testimoni silenziosi di un destino che cominciava a tessere la sua trama. Elara sentiva il peso dell'uomo contro di sé, la sua vicinanza era quasi intollerabile, ma anche una strana eccitazione. Sapeva, con una certezza che le arrivò dritta all’anima, che in qualche modo, la sua vita non sarebbe più stata la stessa. Questo incontro, casuale e inaspettato, aveva aperto una porta su un mondo che fino a quel momento aveva solo sognato, un mondo fatto di pericoli sconosciuti, ma anche di possibilità inaudite, di un destino che non aveva mai osato immaginare. Il vento tra le foglie le sussurrò promesse di avventura e un futuro incerto, e per la prima volta, Elara non sentì la paura, ma una sottile, inebriante anticipazione.