classificata lunga

Thriller

Drammatico

Storico

04/06/2025

L'Ombra del Corvo

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0kitami0

L'Eco di un Addio a Kyoto

La pioggia di Kyoto non era mai stata così fredda. Nonostante l'inizio dell'estate, un vento tagliente si insinuava sotto il mio impermeabile, portando con sé il profumo umido del muschio e il ricordo persistente di qualcosa che avevo perso. Non ero qui per le bellezze millenarie, per i templi dorati o i giardini zen. La mia presenza in questa città antica era dettata da un unico, inesorabile scopo: chiudere un cerchio che mi aveva strangolato l'anima per troppo tempo. Erano passati dieci anni da quando l'avevo vista l'ultima volta. Dieci anni da quando la sua risata melodiosa si era spenta per sempre, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile, un buco nero che succhiava ogni barlume di gioia dalla mia esistenza. Akari. Il suo nome era ancora un sussurro sulle mie labbra, una melodia struggente che mi tormentava in ogni ora di veglia e mi inseguiva nei miei sogni più oscuri. Lei, l'artista dal cuore gentile e dalle mani sapienti, capace di vedere la bellezza anche nelle rovine più decrepite, era stata strappata via da me, da noi, in un attimo di follia e violenza che la polizia giapponese aveva frettolosamente classificato come una rapina finita male. Una rapina, sì, ma il mio istinto, il mio amore, urlava una verità diversa, più cupa, più personale. Avevo trascorso anni a rimuginare, a costruire castelli di sabbia su piste fredde e indizi inconsistenti, consumando la mia vita nell'ombra della sua assenza. La giustizia, per me, non era mai arrivata. I responsabili, i veri responsabili, non erano mai stati assicurati alla giustizia. Ma io non ero uno che si arrendeva, non quando si trattava di Akari. Il mio amore per lei era stato un fuoco purificatore, ma la sua perdita lo aveva trasformato in una brace ardente di vendetta, un fuoco che covava sotto la cenere, pronto a divampare. Il volo da Milano era stato lungo, un viaggio attraverso fusi orari e ricordi. Ogni istante a bordo dell'aereo era stato un conto alla rovescia, un avvicinamento lento e inesorabile al mio obiettivo. Non ero più il giovane impulsivo che aveva amato Akari con tutto se stesso. Gli anni di dolore e ossessiva ricerca mi avevano temprato, trasformandomi in qualcosa di più affilato, più determinato. Avevo imparato il giapponese, non solo per comunicare, ma per immergermi nella cultura che Akari aveva tanto amato, per capire il contesto in cui la sua vita era stata spezzata. Avevo studiato le tecniche di autodifesa, non per attaccare, ma per non essere più impotente. Avevo accumulato un piccolo capitale, non per la ricchezza, ma per avere i mezzi per perseguire la mia crociata. Ero diventato un fantasma, un'ombra che seguiva le tracce lasciate da altri, un cacciatore paziente. La mia valigia era leggera, conteneva solo lo stretto necessario: pochi vestiti, una mappa dettagliata di Kyoto, un vecchio taccuino di Akari che avevo gelosamente conservato e un'unica fotografia. La foto era stata scattata durante il nostro primo viaggio insieme in Giappone, proprio a Kyoto. Akari era seduta su una panchina, sorridente, con i ciliegi in fiore a incorniciarle il viso. I suoi occhi brillavano di una luce che solo io conoscevo, una luce che mi aveva riempito la vita e che ora mi guidava nell'oscurità. Accarezzai la foto con il pollice, la trama della carta liscia sotto il mio tocco. La sua immagine era un promemoria costante, una promessa che mi ero fatto: non mi sarei fermato finché non avessi trovato la verità, finché non avessi fatto pagare chi doveva pagare. Avevo affittato un piccolo appartamento nel quartiere di Gion, un luogo intriso di storia e mistero. Era vicino al Ryokan dove Akari era stata l'ultima volta prima della sua morte. Era lì che avrei iniziato, ripercorrendo i suoi ultimi passi, cercando un'anomalia, un dettaglio sfuggito all'indagine superficiale della polizia. Sapevo che non sarebbe stato facile. Kyoto era una città che celava i suoi segreti con la stessa grazia con cui mostrava le sue bellezze. Ma io ero pronto a scavare, a sollevare ogni pietra, a interrogare ogni ombra. Quella sera, mentre il cielo di Kyoto si tingeva di viola e i lampioni iniziavano a illuminare le strade bagnate, mi diressi verso il Ryokan. L'insegna, illuminata da una luce fioca, mi sembrava familiare, quasi amica. Ero passato di lì molte volte con Akari, mano nella mano, ignari del destino crudele che ci attendeva. La porta scorrevole si aprì con un fruscio leggero, rivelando un interno caldo e accogliente, un contrasto stridente con la tempesta che infuriava dentro di me. La ragazza alla reception, con un kimono elegante e un sorriso educato, mi accolse con un inchino. "Benvenuto al Ryokan Hanami. Ha una prenotazione?" Scossi la testa. "No. Sono qui per una questione personale. Vorrei parlare con il proprietario, se possibile. Riguarda una cliente che ha soggiornato qui dieci anni fa. Akari Tanaka." Il sorriso della ragazza vacillò per un istante, sostituito da un'espressione di cauta curiosità. "Akari Tanaka... mi dispiace, ma non sono autorizzata a fornire informazioni sui nostri ospiti passati." "Capisco," risposi, mantenendo la mia voce calma, anche se il mio cuore batteva forte. "Ma è una questione di estrema importanza. Sono suo fratello." Mentii. Non avevo nessun fratello, ma la disperazione, a volte, richiede bugie necessarie. "C'è qualcosa che devo sapere sul suo soggiorno qui, qualcosa che potrebbe aiutarmi a capire cosa le è successo." La ragazza esitò, poi con un altro inchino, disse: "Attenda un momento, per favore. Verifico se il proprietario è disponibile." Rimasi lì, in piedi nel foyer del Ryokan, con il profumo del tè verde e l'aroma dolce dell'incenso che mi avvolgevano. Le mie mani erano strette a pugno nelle tasche, il mio sguardo fisso su una nicchia dove era esposta una calligrafia. Ogni tratto del pennello sembrava intriso di una tristezza silenziosa, un richiamo alla bellezza effimera e alla fragilità della vita. Pochi minuti dopo, una figura anziana emerse da una porta laterale. Era un uomo con un viso rugoso ma gentile, i capelli candidi e gli occhi saggi che sembravano aver visto troppe primavere. Era il signor Tanaka, il proprietario del Ryokan. O, almeno, così credevo. "Sono il proprietario, il signor Kaito," disse l'uomo, con una voce profonda e melodiosa. "La mia assistente mi ha detto che cercava informazioni su Akari Tanaka. Mi dispiace molto per la sua perdita. Era una persona meravigliosa." Il suo tono era sincero, e per un attimo, sentii un nodo stringermi la gola. "Grazie, signor Kaito. Sono Marco, il suo fidanzato." La verità, finalmente. "Sono venuto qui per cercare risposte. La polizia ha chiuso il caso troppo in fretta. Credo che ci sia qualcosa di più, qualcosa che non è stato scoperto." Il signor Kaito mi osservò con un'espressione di profonda empatia. "Capisco il suo dolore, giovane uomo. Akari era una delle nostre ospiti più affezionate. Veniva qui ogni anno per trovare ispirazione per le sue opere. Era una donna piena di vita e di talento." Fece una pausa, poi mi invitò a sedermi in un piccolo salottino adiacente alla reception. "Mi dispiace dirle che non posso aiutarla molto. La notte in cui è successo... eravamo tutti sconvolti. Non abbiamo visto nulla di insolito. Solo la mattina dopo, quando non si è presentata per la colazione, abbiamo capito che qualcosa non andava. E poi la polizia..." "Ma dev'esserci qualcosa," insistetti. "Qualche dettaglio, una persona che ha visto, un rumore, qualsiasi cosa." Il signor Kaito chiuse gli occhi per un momento, come per richiamare alla mente ricordi lontani. "L'unica cosa che ricordo, ora che ci penso... è che la sera prima del... dell'incidente, Akari era tornata tardi. E non era sola. C'era un uomo con lei." Il mio cuore fece un balzo. "Un uomo? Chi era?" "Non saprei dirle, giovane Marco. Era buio, e l'uomo era avvolto in un grande cappotto scuro. Non l'abbiamo mai visto prima qui. Akari sembrava... turbata, ma non in pericolo. Sembrava che stessero discutendo di qualcosa, ma a bassa voce. Poi sono entrati nella sua stanza. Pensavamo fosse un amico, o un collega. Non ci abbiamo dato peso." Un uomo. Un cappotto scuro. Una discussione a bassa voce. Questa era la prima vera pista in dieci anni. Un barlume di luce nell'oscurità che mi aveva avvolto. Il fuoco della vendetta divampò, caldo e feroce. "Ha notato qualcos'altro? Qualche dettaglio sul suo aspetto? Una voce particolare?" chiesi, la mia voce tremante per l'eccitazione e la rabbia. Il signor Kaito scosse lentamente la testa. "No, mi dispiace. Era solo una sagoma nell'ombra. E la sua voce era indistinguibile. Dopo quella sera, non l'abbiamo più visto. E poi..." Si interruppe, il suo sguardo si velò di tristezza. Mi alzai, il mio corpo teso, l'adrenalina che mi scorreva nelle vene. "Signor Kaito, la ringrazio. Questo è più di quanto abbia mai saputo." "Spero che possa trovare le sue risposte, Marco," disse il vecchio, con un tono di sincera compassione. "Akari meritava giustizia." Uscii dal Ryokan, il vento freddo di Kyoto che mi schiaffeggiava il viso. La pioggia si era fermata, ma il cielo era ancora carico di nuvole scure. Le lanterne lungo le strade gettavano lunghe ombre danzanti, e ogni ombra sembrava nascondere un segreto. Ma ora avevo un punto di partenza. Un uomo misterioso, un incontro notturno. Non era molto, ma era abbastanza. Abbastanza per riaccendere la mia determinazione, abbastanza per darmi una direzione in questo labirinto di dolore. La vendetta, lo sentivo, era a portata di mano.