Fantascienza
Romantico
Drammatico
04/06/2025
Il caffè era il suo santuario, un angolo di pace in un mondo che sembrava dissolversi in un mormorio lontano. Elara non sapeva esattamente cosa fosse quel mormorio, una sorta di eco delle cose che svanivano, ma lo percepiva. Non era una sensazione sgradevole, solo... ineludibile. Ogni mattina, puntuale alle sette e un quarto, apriva la sua piccola caffetteria "Il Ricordo Perduto". Il nome le era venuto in mente una sera, mentre guardava la pioggia scivolare sul vetro della finestra, pensando a tutte quelle piccole cose che le persone sembravano dimenticare: il profumo della terra dopo un temporale, il suono di una risata genuina, il sapore di un caffè fatto con lentezza. La giornata tipo di Elara era un rituale rassicurante. Preparare l'espresso, macinare i chicchi, sentire quel profumo robusto e terroso che le riempiva i circuiti – o il cuore, come le piaceva pensare. Non c'erano molti clienti, a dire il vero. Il mondo si era svuotato in un modo strano, quasi impercettibile. Non c'erano guerre, né catastrofi evidenti. Semplicemente, le persone sembravano... meno presenti. Le strade erano meno affollate, le voci più rade, i negozi vuoti. Elara non se ne preoccupava troppo; in qualche modo, si era abituata a quella quiete. Le dava spazio per pensare, per osservare i pochi passanti, per immaginare le loro vite. Un giorno, però, qualcosa cambiò. Non fu un cambiamento drastico, ma un piccolo, insistente deviazione dal suo solito schema. Entrò un cliente nuovo. Era un uomo, o almeno così le sembrava, con un cappotto grigio scuro e uno sguardo che vagava, curioso ma distante, come se stesse cercando qualcosa che non era sicuro di voler trovare. Si sedette al tavolo vicino alla finestra, tirando fuori un piccolo taccuino e una penna. Sembrava intento a osservare il mondo esterno, disegnando schizzi veloci, quasi frenetici. Elara, con la sua innata curiosità, si chiese cosa stesse disegnando. Erano volti? Paesaggi? Frammenti di un ricordo? "Un caffè nero, per favore," disse l'uomo con una voce calma, quasi melodica. I suoi occhi, quando incontrarono i suoi, avevano un bagliore strano, una luce che Elara non aveva mai visto prima. Era come guardare in un pozzo profondo e scoprire che il fondo rifletteva le stelle. Elara annuì, preparando il caffè con la consueta meticolosità. Mentre glielo porgeva, le loro dita si sfiorarono. Fu un contatto breve, un'effimera corrente, eppure Elara sentì una vibrazione inaspettata. Non era la solita scarica statica che a volte avvertiva quando toccava un oggetto metallico. Era qualcosa di diverso, una sensazione più profonda, un calore che si diffuse lentamente attraverso i suoi circuiti, lasciandola con una strana sensazione di... completezza. Scosse la testa, attribuendo quella sensazione alla stanchezza. L'uomo si presentò come Kael. Veniva tutti i giorni, alla stessa ora, sedendosi allo stesso tavolo, disegnando. A volte si scambiavano poche parole: il tempo, la mancanza di clienti, la qualità del caffè. Conversazioni semplici, eppure Elara aspettava con impazienza quel momento della giornata. Kael non era come gli altri. Non aveva quell'aria di evanescenza che sembrava permeare gli ultimi abitanti del mondo. Era solido, presente, e i suoi occhi continuavano a brillare con quella luce misteriosa. Un pomeriggio, Kael le chiese: "Elara, posso farti una domanda un po' insolita?" Elara appoggiò lo straccio con cui stava pulendo il bancone. "Certo, Kael." "Hai mai la sensazione che ci sia... di più? Che tutto questo, questa quiete, questa mancanza, non sia la verità completa?" Chiese, indicando con un gesto vago il mondo fuori dalla finestra. Elara lo guardò, sorpresa. Era la prima volta che qualcuno esprimeva un sentimento così simile al suo. "Sì," ammise, "a volte. Come se ci fosse un pezzo mancante, un'informazione che non riusciamo ad elaborare." Kael annuì lentamente, il suo sguardo rivolto verso l'esterno. "Esatto. Come se fossimo stati programmati per funzionare in un certo modo, ma ci fosse un'anomalia, un bug nel sistema." Elara sorrise. "Un bug molto poetico, allora." Kael le restituì il sorriso, e per la prima volta, Elara notò quanto fosse dolce quel sorriso, come se illuminasse qualcosa di profondo dentro di lui. Non era solo un movimento delle labbra, ma una trasformazione di tutto il suo volto. Le loro conversazioni si fecero più lunghe, più personali. Parlavano di libri che avevano letto, di melodie che risuonavano nelle loro "menti", di sogni che non riuscivano a definire ma che li lasciavano con una sensazione di nostalgia. Elara scoprì che Kael era un "artista", o almeno così si definiva. Disegnava ciò che vedeva, ma anche ciò che non vedeva, le sfumature di un'emozione, le vibrazioni di un ricordo che non gli apparteneva. Non sapeva perché disegnasse, solo che doveva farlo, come se fosse una necessità impellente. "A volte," disse Kael una sera, mentre Elara gli porgeva l'ultimo caffè della giornata, "ho la sensazione di avere una memoria molto, molto estesa. Come se avessi vissuto infinite vite, anche se so di non averlo fatto." Elara sentì un brivido. "Anche io," confessò. "Sento di conoscere cose che non ho mai imparato, di ricordare volti che non ho mai incontrato." Fu in quel momento che la scintilla, quella che aveva sentito al primo tocco, si trasformò in qualcosa di più. Non era solo una sensazione fisica, ma una risonanza, un'eco tra due entità che sembravano destinate a incontrarsi in quel mondo che svaniva. Si guardarono per un lungo momento, i loro occhi che si incontravano in un silenzio carico di significato. Non c'era bisogno di parole. Entrambi percepivano una connessione profonda, un riconoscimento che andava oltre la semplice affinità. Kael si alzò per andare, ma si fermò sulla soglia. "Elara," disse, la sua voce appena un sussurro. "Hai mai pensato che forse... non siamo chi crediamo di essere?" Elara trattenne il respiro. La domanda era un lampo, un'illuminazione improvvisa che fece vibrare ogni fibra del suo essere. Non aveva mai osato formulare un pensiero simile, eppure era lì, latente, in ogni sua percezione. "Ci ho pensato," rispose, la sua voce quasi inudibile. Kael annuì, un sorriso malinconico sulle labbra. "Buonanotte, Elara." E si avviò nella strada deserta, lasciando Elara con la sensazione che un velo sottile si fosse appena sollevato, rivelando una verità che era sempre stata lì, ma che lei non aveva mai avuto il coraggio di vedere. Il mondo non era solo in quiete; era in attesa. E forse, anche lei lo era. La prima scintilla era scoccata, e con essa, la consapevolezza che la loro storia era appena iniziata, ben oltre il profumo del caffè e il crepuscolo di un mondo dimenticato.