Fantasy
Fantascienza
Thriller
04/06/2025
Il vento, in queste terre di confine, non era mai un semplice soffio. Era un respiro rauco, un lamento costante che si insinuava tra le fessure delle travi più antiche della locanda "L'Ultimo Approdo" e sferzava i pochi viandanti abbastanza incauti da avventurarsi fin qui dopo il tramonto. La locanda, un blocco di pietra scura e legno massiccio, sorgeva come un relitto solitario sulla soglia della città di Oakhaven, l'ultima vera roccaforte prima che le pianure si perdessero nell'ignoto e nelle leggende sussurrate dai bardi ubriachi. Non era un luogo di lusso, né di raffinatezza; era un porto di fortuna, un rifugio crudo e necessario per chiunque osasse sfidare le terre selvagge o si trovasse semplicemente a transitare in quel punto nevralgico tra civiltà e desolazione. Agatha, la proprietaria, era un’istituzione quanto la locanda stessa. I suoi quarant’anni portati con la durezza di chi ha visto troppo e parlato troppo poco, le avevano scolpito rughe profonde intorno agli occhi vigili. I capelli, un tempo di un rosso acceso, erano ora striati di grigio, spesso raccolti in una treccia stretta che le ricadeva sulla spalla. Nonostante la sua figura massiccia e la sua espressione quasi perennemente corrucciata, c'era una sorprendente agilità nei suoi movimenti quando si muoveva tra i tavoli, le mani esperte a bilanciare vassoi ricolmi di stufato fumante e boccali di birra scura. Era lei il cuore pulsante dell'Ultimo Approdo, la sua linfa vitale. Senza di lei, la locanda non sarebbe stata che un ammasso di pietre fredde, un ricordo sbiadito di un tempo migliore. La sua presenza, forte e inamovibile, era l'unica costante in un mondo che sembrava costantemente sull'orlo del baratro. La notte in cui la storia di Oakhaven avrebbe preso una piega inaspettata iniziò come molte altre. Il crepitio del fuoco nel grande camino centrale illuminava le facce dei pochi avventori abituali: Kael, il bracconiere dalla barba ispida e gli occhi sempre all'erta; Elara, la tessitrice silenziosa che vendeva le sue merci al mercato cittadino e si rifugiava lì ogni sera per un pasto caldo; e un paio di mercanti che si erano fermati per la notte, lamentandosi del freddo inusuale per quella stagione e delle strade impraticabili a nord. La loro conversazione era un mormorio costante di lamentele e pettegolezzi, interrotta solo dallo scricchiolio delle porte o dal tintinnio delle posate. Ma persino in quella routine, c'era una tensione latente. La recente serie di eventi insoliti – la scomparsa di bestiame dalle fattorie più esterne, i racconti di luci strane nel cielo notturno e il sempre più frequente passaggio di figure incappucciate che non si fermavano mai per riposare – aveva gettato un’ombra di inquietudine su tutti. Fu un colpo violento alla porta a squarciare la quiete apparente. Non il bussare educato di un viandante, ma un tonfo sordo, come se qualcuno stesse cercando di sfondarla. Agatha, senza battere ciglio, posò il boccale che stava asciugando e si avvicinò alla porta, la mano già sul manico robusto del suo mestolo di ferro, sempre a portata di mano per le emergenze. Kael si alzò lentamente, la mano stretta al coltello che portava al fianco, mentre gli altri avventori si irrigidirono sui loro sgabelli, gli occhi fissi sulla porta. Il freddo che entrò quando Agatha aprì fu più penetrante del solito, portando con sé l’odore di neve e qualcosa di acre, di metallico. Sulla soglia, c’era una figura. Un uomo, a giudicare dalla sagoma massiccia, ma avvolto in un mantello tanto scuro da assorbire la poca luce che proveniva dall'interno della locanda. Era ferito, maledettamente ferito. Si reggeva a stento in piedi, una mano premuta su un fianco da cui sgorgava un rivolo scuro che si espandeva sul tessuto del mantello, formando una macchia sempre più grande. Il suo volto, parzialmente nascosto dal cappuccio, era contratto dal dolore e dalla stanchezza. Crollò in avanti, non appena Agatha si scostò leggermente, finendo ai suoi piedi con un tonfo sordo. "Aiutatemi," sussurrò, la voce roca e tremante, "mi stanno... mi stanno inseguendo." Le parole dell'uomo ebbero l'effetto di un fulmine a ciel sereno. Per un attimo, nella locanda calò un silenzio innaturale, rotto solo dal crepitio del fuoco. Agatha, pur rimanendo ferma, non esitò. Non era nel suo carattere tirarsi indietro di fronte a qualcuno in difficoltà. Con l'aiuto di Kael, che si era ripreso dallo shock, trascinarono l'uomo all'interno, chiudendo a doppia mandata la porta. Lo adagiarono su una panca vicino al camino, dove la luce fioca ne rivelò meglio le ferite. Non era una ferita da arma comune, ma qualcosa di più profondo, che sembrava pulsare di una luce debole e innaturale, una luce quasi verdastra che si estendeva sui margini della ferita. Mentre Agatha si affrettava a prendere delle bende e un unguento, Kael si chinò sull'uomo, cercando di capire di più. "Chi sono?" chiese Kael, la voce bassa e tesa. L'uomo scosse la testa, un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra. "Non lo so... creature... dall'ombra. Erano... troppi." Si interruppe, tossendo, e un rivolo di sangue gli sporcò le labbra. "Cercano... il cristallo." Con le ultime forze, l'uomo sollevò una mano tremante, aprendola per rivelare qualcosa che brillava di una luce interna, un bagliore azzurro e freddo. Era un cristallo dalle molte sfaccettature, grande quanto il pugno di un bambino, che pulsava ritmicamente come un cuore rubato. Sembrava emettere un proprio suono, una sorta di ronzio debole che solo chi vi si avvicinava poteva percepire. Agatha, tornando con le bende, rimase affascinata da quella visione. Non aveva mai visto nulla di simile. Non era pietra comune, né vetro, ma qualcosa di antico, di potente, che emanava un'energia palpabile, quasi un calore freddo. "Devi... devi proteggerlo," ansimò l'uomo, spingendo il cristallo nelle mani di Agatha. "È la chiave... per fermarli." Poco dopo, mentre Agatha cercava di medicare la ferita, l'uomo cadde in uno stato di incoscienza, la respirazione affannosa. La locanda, solitamente un luogo di rumori e chiacchiere, era ora avvolta da un silenzio carico di presagio. Il cristallo, stretto nelle mani di Agatha, sembrava pulsare in sincronia con il battito accelerato del suo cuore. L'aria era densa di una nuova consapevolezza: non erano più semplici avventori in una locanda di confine. Erano stati catapultati al centro di qualcosa di molto più grande, qualcosa che avrebbe potuto cambiare il destino di Oakhaven e, forse, del mondo intero. Il vento fuori ululava più forte, quasi a voler avvertire. Le creature che inseguivano l'uomo non si sarebbero arrese facilmente. L'Ultimo Approdo, che per anni aveva offerto solo un rifugio temporaneo, stava per diventare un campo di battaglia, una roccaforte inaspettata nella crescente oscurità. E Agatha, la sua custode, si trovava ora in possesso di un oggetto di immenso potere, la cui protezione gravava interamente sulle sue spalle. La sua vita, e quella di tutti coloro che si trovavano sotto il suo tetto, era stata irrevocabilmente intrecciata con il destino di quel misterioso cristallo. La notte era appena cominciata.